Come scegliere buoni clienti, fare più soldi, stare alla larga dai clienti che ci rovinano la vita…
Abbiamo bisogno di capire come possiamo davvero migliorare la vita dei nostri clienti. Ma anche come i nostri clienti possano migliorare la nostra!
La vita del freelance è meravigliosa.
Eccetto per due grandi problemi che possono mandare all’aria tutto:
Come trovare clienti (come vendersi)
Come trovare clienti con cui siamo contenti di lavorare (e che ci rovinino la vita)
Che possiamo mettere anche in questo modo:
Cosa vendere
Cosa comprare
All’inizio, tutto sommato è semplice. Ai piedi della classica piramide di Maslow, basta qualcuno che compri qualcosa.
Salendo, crescendo, diventando grandi, ci interessano anche altre cose.
Tipo l’eleganza. Mi piace molto questo termine.
Siamo fieri di ciò che vendiamo? Siamo fieri e felici di raccontare come ci guadagniamo da vivere?
Di questo ne ho parlato anche qualche settimana fa. Una piccola aggiunta perché l’argomento è sempre attuale ed è così importante. Un semplice test: ricompensa o risarcimento?
Se il venerdì (o il sabato) entrando nel week end e mettendo in pausa il lavoro pensiamo di esserci meritato un po’ di meritato riposo… è una ricompensa.
Se invece pensiamo alle pause come un risarcimento “fanculo me lo merito eccome”, allora è un risarcimento.
Ho realizzato questa cosa quando una mattina mi sono svegliato e ho detto “fortuna che è giovedì”. E invece era un lunedì del cazzo.
E quando, lavorando con un’azienda, ho visto esultare come pazze le persone l’ultimo giorno di lavoro prima della pausa estiva.
Non era un “buone vacanze, speriamo di divertirci.” Era un liberi tutti.
Un risarcimento.
Per i freelance e quelli che possono scegliere, questo aspetto è ancora più importante. In qualità di veri “faber” del nostro destino, fa ancora più arrabbiare fare un lavoro del cazzo e dover aspettare il fine settimana per vivere - anche perché si sa, poi mica vivi.
Ci ho pensato, ci sto pensando, ci sto lavorando.
Alla fine credo sia tutta una questione di obiettivi: dei nostri e di quelli dei capi (dei clienti).
Di scelte.
Di traiettorie per passare da un punto A ad un punto B. Del modo in cui riusciamo o meno ad aiutare i nostri clienti a fare altrettanto. E da come questi ci aiutino o interferiscano nel nostro viaggio.
(Summary) Oggi parleremo di:
Jobs theory: uscire dalla casualità e dall’imprevedibilità
Come un approccio di questo tipo ci porta fuori dalla competizione
Usare lo stesso approccio anche per quanto riguarda le nostre vite: quali clienti ci portano da un punto A a un punto B
Il freelance di Schrodinger
In una scatola c’è un gatto. E la scatola è una scatola infernale in cui all’interno c’è un meccanismo che se premuto può emettere gas velenoso. La scatola è chiusa e noi non possiamo vedere all’interno. Il gatto se ne sarà stato fermo in un angolo o si sarà agitato azionando la fuoriuscita del gas velenoso? Sarà o vivo o sarà morto?
La risposta corretta, anche seguendo difficili calcoli probabilistici è “boh”.
Ci sono il 50% delle probabilità che sia vivo, il 50% che sia morto.
O, come disse il premio Nobel Erwin Schrödinger a cui si deve il paradosso: sino a quando non apriamo la scatola, dobbiamo assumere che il gatto sia vivo ma anche morto.
È roba seria, che ha a che fare con la meccanica quantistica e che non ho mai capito fino in fondo né ho voglia di provare a capirlo oggi. Ma anche in una versione così semplice e banalizzata, la storia del gatto in una scatola, è il modo migliore per descrivere quelle situazioni in cui “non sappiamo come finirà fino a quando non sapremo come è finita”.
Anche Elon Musk qualche anno fa usò la stessa analogia per rispondere alla domanda: “viviamo in una simulazione?”
SI e no. 50% di probabilità che il mondo sia reale, 50% che non lo sia affatto.
Per la mia esperienza lo stesso paradosso si cela dietro la vita e carriera di ogni freelance.
Funzionerà?
Si e no. Boh.
Questione di storie.
Sono cresciuto con il mito e l’incubo della libera professione.
Mia mamma lo era. Negli anni ‘90 guadagnava tantissimo, e in lire sembravano anche di più.
Ma a volte no.
Dipende, mi ha sempre detto: la libera professione è così. Imprevedibile.
Credo di non essere l’unico cresciuto con questa idea.
“Eh, si sa come va” è la frase che tipicamente ci si scambia in questo mondo e con cui giustifica un’altalena di successi e fallimenti, di esplosione di domanda e di silenzi terrificanti, quando sembra nessuno abbia bisogno di te.
Lo stesso concetto di freelance sembra includere questo genere di imprevedibilità.
Freelance era il termine usato per riferirsi a un mercenario medievale che avrebbe combattuto per la nazione o la persona che li pagava di più.
La prima prova scritta di "freelance" si trova in Ivanhoe di Sir Walter Scott, in cui un lord si riferisce al suo esercito di "free lance" retribuito.
Avanti veloce sino ai nostri giorni, non è cambiato molto.
Un freelance mantiene ancora le caratteristiche di indipendenza, di costante ricerca del massimo guadagno, dell’imprevedibilità di tempi, modi e battaglie per cui sarà impiegato.
Il che ci porta al punto da cui eravamo partiti: la scatola, il gatto, il destino di un freelance. Funzionerà? Si e no. Boh.
Il punto è che l’idea stessa del freelance destinato all'imprevedibilità è radicata quanto il lavoro è fatica e non ti deve piacere. E questo, se per alcuni è un sollievo, nella maggior parte dei casi porta ulteriori problemi, un classico caso di cade che si morde la coda.
Dalle idee deriva infatti la strategia. O, in questo caso, la mancanza di strategia.
Per cui la maggior parte dei freelance, detto che alcuni dovrebbero proprio starsene alla larga da questo genere di avventure, va avanti e rimane bloccato da azioni ben definite: rapine, rincorse e scommesse.
Rapine
In senso non illegale certo, ma di opportunità. Come si dice di alcuni attaccanti sempre pronti a sfruttare incertezza difensive, come si diceva di Inzaghi, in questo il più bravo di tutti, così i freelance sono “bravi” a cogliere ogni palla sporca e provare a trasformarla in una certa quantità di soldi.
Uno magari parte anche con le buone intenzioni: focus, positioning, nicchia.
Poi però c’è un lavoro da fare, sono soldi, e allora lo si fa.
Il che sinceramente non mi sento neanche di definirlo un male assoluto.
Il problema è dato dal fatto che a un certo punto della storia, alcuni da subito, ci impegniamo anche affinchè ciò accada.
Come? Semplice: allargando il compasso.
I classici servizi a 360 gradi.
“Tutto per tutti e qualcosa magari la porto a casa”.
Rincorse
In un mercato competitivo, globale, direi anche povero per certi aspetti, anche altri ragionano in questo modo. Il che porta a una continua competizione combattuta a colpi di “qualcosa di meno e qualcosa di più”.
Qualcosa di meno: in meno tempo, con più facilità, a un prezzo più basso
Qualcosa di più: con più particolari, migliore, “più bello”, con servizi aggiuntivi, ecc
Scommesse
Per arrivare a una situazione in cui ogni giorno, mese, ogni anno è una scommessa.
Saremo scelti? Forse sì, forse no.
Dipende da fattori che non controlliamo.
Come ad esempio il fatto che qualcun altro non offra qualcosa in più di ciò che noi offriamo “di più”, a meno di ciò che noi offriamo a “meno”.
Tutto ciò ha implicazioni non solo economiche ma anche sul nostro stato emotivo. Quando va bene, stiamo va bene. Quando va male, fa schifo.
La vita del freelance è come una scatola di biscotti: non sai mai cosa ti capita.
Cambiare gioco con la Jobs Theory
Non sono mai stato uno che si vende a poco. Ma sono stato per anni intrappolato nel “faccio di più”. Il che, pensandoci bene, beh sì… equivale a vendersi a poco.
Tutto è cambiato quando, grazie a Beople, ho incontrato un paio di concetti semplici e rivoluzionari che cambiano il gioco.
Il primo riguarda il valore che attribuiamo allo “straordinario”.
Per me era sempre stato qualcosa di buono. Qualcosa in più.
Il fatto ad esempio di servire ogni cliente in maniera diversa, offrendo a ciascuno servizi diversi e in modo diverso, mi è sempre sembrato straordinario.
Così come ho creduto per anni che il fatto che ogni cliente avesse esigenze del tutto diverse da ogni altro cliente fosse normale. E straordinario.
Si scopre però che i soldi non si fanno con lo straordinario.
Si fanno con l’ordinarietà.
Così come il nostro benessere mentale, il significato del nostro lavoro, non è data dallo straordinario.
È dato dall’ ordinarietà.
Il mondo dello straordinario è imprevedibile.
Nel mondo dell’ordinario puoi fare previsioni.
Sinteticamente significa che la prevedibilità del tuo lavoro, ma anche il valore, sta nella capacità di individuare un gruppo di persone che ha lo stesso problema da risolvere. E, naturalmente, dall’essere tu in grado di risolverlo.
Il passo successivo sta nel modo in cui pensiamo ai nostri clienti e a cosa vogliono davvero.
Qui entra in gioco un gigante del pensiero imprenditoriale, dell’innovazione ma anche della vita: Clayton Christensen.
Secondo Christensen, mentre tutti si affannano a chiedersi “perché i clienti comprano prodotti o servizi?, cercando di individuare una ricetta segreta per sbancare il mercato, c’è una domanda migliore da farsi: qual è il compito (lavoro, job) per cui una persona sta assumendo un prodotto o servizio?
Alla base vi è un assunto di fondamentale importanza: siamo umani.
E come umani, siamo costantemente in cammino per diventare una qualche versione migliore di noi stessi.
Un orso che cerca di catturare il cibo in riva al fiume potrebbe pensare: vorrei che la pesca potesse essere migliorata, più veloce o più facile .
Ma solo un essere umano penserà, la pesca non va bene. Se potessi trasformare quella laguna laggiù in un luogo dove posso allevare pesci, allora non dovrei più andare a pescare
L’orso pensa a ciò che è.
Gli umani pensano a come potrebbe essere bello se…
Se ti rivolgi agli orsi… fai cose migliori, più facili, più veloci.
Se ti rivolgi agli umani… pensa a come aiutarli a diventare migliori
Albert Bandura descrisse gli esseri umani come "organismi proattivi e aspiranti". La Jobs Theory porta l’idea sul mercato e su come facciamo affari.
Lavori da svolgere, prodotti e servizi da assumere e licenziare
Il modo migliore per comprendere la Jobs Theory è una storia. L’esempio classico usato da Christensen riguarda i Milkshake di McDonald.
Anni fa, McDonald's stava tentando di aumentare le vendite dei suoi frullati.
Iniziò conducendo interviste con i consumatori di milkshake, chiedendo se volessero frullati più grandi o nuovi gusti (come birra alla radice o arancia).
Poi chiamarono Christensen. Che affrontò la cosa in maniera diversa. Stando a guardare.
"Che lavoro stanno tentando di svolgere queste persone alle 6:30 del mattino, venendo da McDonald's per un milkshake?" iniziò a chiedersi.
Scoprì che tutti avevano lo stesso lavoro da svolgere: un lungo viaggio in auto.
E volevano solo qualcosa da fare durante il viaggio per non addormentarsi. Non avevano ancora fame, ma sapevano che avrebbero avuto fame dopo.
Compreso questo tutto cambiava. I milkshake di McDonald's non erano in competizione con quelli di Burger King. Erano in competizione con banane, ciambelle e bagel.
I milkshake, d'altra parte, erano notevolmente più convenienti dei loro rivali poiché potevano essere mangiati con una mano anche guidando-
Ai clienti insomma non importava cosa c'era nel prodotto o un gusto esotico. Tutto quello che volevano avere qualcosa che li tenesse occupati durante il loro viaggio.
Grazie a questa “scoperta” McDonald's spostò il milkshake davanti al bancone e iniziò a fornire alle persone una carta magnetica prepagata in modo che potessero semplicemente fare il pieno di benzina e prendere il loro frullato senza fare tardi al lavoro.
I frullati diventarono ancora più densi, in modo che i clienti avrebbero avuto più tempo per berli ed essere impegnati.
Le vendite dei milkshake aumentarono di 7 volte.
Chi sono i tuoi clienti? Chi sono i tuoi veri concorrenti?
“La Jobs Theory cambia il modo di definire il settore in cui si opera, le dimensioni e la forma del mercato in cui si compete e il paesaggio concorrenziale. Vi permette di scorgere clienti laddove pensavate che non ce ne fossero, trovare idee a soluzioni dove c’erano solo problemi, e opportunità dove meno ve le aspettavate.” Clayton Christensen
Un altro esempio per comprendere l’impatto di ragionare in questo modo sta nella celebre frase di Theodore Levitt: le persone non comprano un trapano, comprano un foro nel muro.
Che lavoro deve svolgere la persona che “vuole” un foro nel muro?
Prima di rispondere, facciamo una rapida sintesi di cosa intendiamo per lavoro (job).
Un JTBD (Jobs to be done) descrive come un cliente cambia o desidera cambiare.
È il processo che un consumatore attraversa ogni volta che mira a cambiare la sua situazione di vita esistente in una preferita, ma non può perché ci sono vincoli che la fermano.
I Job hanno inoltre dimensioni funzionali, emotive e sociali. La dimensione funzionale è il ruolo pratico che un prodotto o servizio svolge, mentre le dimensioni emotive e sociali racchiudono i sentimenti che si provano nel possederlo o nell'usarlo.
Per semplificare, Matt Gavin sostiene che possiamo identificare job ogni volta che le persone si trovano a dire (o pensare):
"Aiutami…"
“Aiutami a evitare…”
"Ho bisogno di…"
Tornando al nostro foro sul muro, la cosa più immediata che ci viene in testa è che il foro serva a metterci un chiodo per appendere un quadro. Ma perché?
Ragionando per job, le motivazioni e i lavori da svolgere potrebbero essere molto diversi.
Per alcuni potrebbe trattarsi di: rendere una camera più accogliente in vista dell’arrivo di un ospite.
Per altri di abbellire una stanza con quadri ispirazionali per fronteggiare un momento di difficoltà.
Qualcun altro potrebbe essere stato appena lasciato dal partner e vuole dare un tocco diverso alla casa.
Qualcuno vuole mostrare al partner, di saper risolvere i problemi e saperci fare. Il buco nel muro è una dimostrazione…
Alcuni cercano un aiuto per attaccare un quadro. Altri per evitare la polvere che si crea facendo un foro nel muro per attaccare un quadro. O i rischi dell’uso di un trapano per attaccare un quadro sul muro.
Ovviamente sto semplificando a dismisura ma il punto è che, pur con motivazioni diverse e stati d’animo diversi, a nessuno interessa delle caratteristiche del trapano, della dimensione del foro e forse neanche del foro.
A questo punto forse più che un trapano potrebbero svolgere il lavoro anche degli adesivi.
O dei poster.
O un tutorial ben fatto su come procedere.
O un sistema che garantisca che nessuno si buchi un dito mentre usa il trapano.
Il che ci porta a:
Riconsiderare chi sono i nostri veri concorrenti
Comprendere cosa vogliono davvero i nostri clienti
Farlo chiedendoci non cosa vogliono ma perché lo vogliono o ancora meglio “dove vogliono arrivare?”
Questo cambia tutto.
A prescindere dalla direzione da dare alle nostre carriere, al modo in cui impacchettiamo competenze e attitudini in prodotti e servizi.
Uscire dalla trappola di migliore, più veloce, più facile. Di “qualcosa in più” o “qualcosa in meno” e pensare in termini di “diverso”.
L’esempio proposto da Dropbox è un modo immediato e geniale per spiegarlo.
Non creare un apriscatole migliore, crea una lattina che si apra senza bisogno di un apriscatole.
Farsi scegliere dai clienti, scegliere i clienti
Il modo però che preferisco in assoluto per spiegare i Jobs to be done lo devo a una vignetta proposta qualche anno fa Samuel Hulick.
Passare da “il mio prodotto/servizio” fa questo a “con me riesci ad arrivare a una versione migliore di te stesso” cambia davvero tutto.
E non si tratta solo di una tecnica di marketing.
Ci porta a ripensare le nostre competenze, la nostra effettiva spendibilità sul mercato, la nostra rilevanza.
Oltre che a farci uscire dalle trappole viste prima (più di questo, meno di quello) e dalla guerra dei prezzi.
Ma, ancora più importante, trovo che ragionare in questo modo possa andare anche oltre la nostra sopravvivenza sul mercato e la prevedibilità delle entrate.
Può aiutarci a rendere il nostro lavoro e le nostre vite migliori.
Ogni decisione è un prodotto e il potere di “assumere i clienti giusti”
Recentemente mi sono imbattuto in una bella riflessione di Shane Parrish su come prendere buone decisioni. Lui consiglia innanzitutto di pensare alle decisioni come a un prodotto. Cosa ti aspetti da questo prodotto?
Così come quando compriamo un prodotto abbiamo un qualche tipo di necessità da soddisfare, allo stesso modo le nostre decisioni impattano a catena su tutto ciò che ci circonda, oggi e domani.
Alla luce di quanto discusso credo possiamo andare oltre e parlare non tanto di necessità o desideri ma di job.
Proprio come nell’esempio dell’apriscatole e della lattina, possiamo ragionare su:
come fare un apriscatole migliore.
fare scatole che si possano aprire facilmente
Detto in altri termini possiamo ragionare su
Come possiamo ottenere qualcosa o di più
Perché abbiamo bisogno di qualcosa o vogliamo ottenere qualcosa
Un piccolo cambio di prospettiva porta a creare apriscatole migliori o nuove scatole.
Nel nostro discorso si tratta di considerarci noi “clienti dei nostri clienti”.
Perché “assumiamo” un cliente?
Volendo esagerare: “Non chiediamoci cosa possiamo fare per il cliente, chiediamoci cosa può fare il nostro cliente per noi?”
Mario Bros può spiegarlo meglio.
↑ Così ci facciamo scegliere e attraiamo clienti migliori (che ci pagano meglio, che ci assicurano prevedibilità)
↑ Così scegliamo quelli che sono funzionali e compatibili con il nostro viaggio.
Per concludere
#overworking che vedo di grande tendenza su ogni social non è il problema.
Il problema, almeno per una buona parte della popolazione di questo pianeta, freelance (ma chiaramente anche imprenditori) è l’incertezza. Il problema per quasi tutti non è il lavoro, ma il lavoro privo di significato.
Quando prendiamo una decisione non dovremmo pensare solo a come risolvere il problema ma anche e soprattutto se ciò che riteniamo “soluzione” risolva davvero il giusto problema.
Più che fattibilità significa eleganza, sostenibilità.
Buona parte della nostra vita è da venditori. L’altra metà è da acquirenti.
Non abbiamo solo bisogno di vendere alle persone giuste. Ma anche e soprattutto di “acquistare” dalle persone giuste.
Altrimenti il risultato è ottenere di più e sentirsi svuotati.
Raggiungere gli obiettivi sbagliati.
Un po’ come succedeva proprio in Mario Bros. Quando vincevamo ma non avevamo vinto davvero. E compariva quella scritta lì: “grazie ma…”
Dunque
Dunque, qual è la tua principessa e dove si trova?
Chi ti aiuterà davvero a raggiungerla?
Buon viaggio a tutti.
About me
Penso, scrivo e lavoro dalla Sicilia. In un piccolo paesino tra montagna e mare insieme alla mia compagna, i miei tre figli e cinque cani.
In passato sono stato un ghostwriter, un oste, un addestratore cani, un consulente strategico per persone straordinarie e diverse aziende globali.
Piango ancora se penso che Baggio non gioca più. Mi irritano quelli che sanno tutto, i caroselli e i sondaggi su LinkedIn, le ricette facili per il successo e le definizioni stereotipate del successo. Per come la vedo io, su questa terra, siamo tutti qui a cercare ancora di capirci qualcosa.
La missione oggi è aiutare persone come me a creare, vivere e raccontare modelli di business rilevanti per il mercato ma che non debbano in cambio sacrificare i nostri valori e la nostra vita.
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