C'è un problema con quelli che parlano del problema
Siamo nel bel mezzo di una crisi più che ambientale. Umana. E "gli esperti" non ci possono aiutare.
Immagina di ritrovarti in un bar, avere voglia di qualcosa da bere ma non avere un soldo in tasca.
Ad un tratto un tizio ti si presenta e ti offre una soluzione inaspettata.
“Se canti, ti offro da bere io” ti dice. E nel frattempo indica un palco improvvisato con un karaoke.
Hai così voglia di qualcosa da bere che metti da parte la timidezza e inizi a cantare.
Lui mantiene la sua parola, fa un cenno al barman e ti viene servito un margarita freschissimo.
A quel punto però ti viene fame. Ma, ancora una volta, non hai soldi.
Il tizio di prima si avvicina e ti lancia una nuova sfida: “se canti di nuovo, abbozzando anche qualche passo di danza, ti offro da mangiare”.
Ci pensi un attimo e dici che in fondo va bene.
Canti, balli, e mangi il tuo premio.
A quel punto si è fatto già tardi, fuori piove a dirotto e ti ricordi di non avere una casa.
Stai per dire qualcosa ma il tizio misterioso sembra avere già capito.
Ti dice “se stavolta canti, balli, e…”
Ma prima di finire la frase intorno a voi si è riunita un mucchio di gente. Altre persone senza un tetto sulla testa e che hanno già capito che potrebbero avere trovato la soluzione.
Il tizio adesso non riesce più a completare la frase e le persone iniziano a proporre la propria versione della sfida.
Chi dice che canterà a squarciagola, chi ballerà con un piede, chi mentre canterà si spoglierà completamente, chi canterà, si spoglierà ed è pure disposto a farsi picchiare mentre si esibisce…
È una scena surreale. È chiaro.
Ma non così diversa da quella storia infinita che molti chiamiamo “economia” e “mercato del lavoro”.
Un gioco nel quale raramente gli individui (considerati qui come lavoratori o imprese) stabiliscono un prezzo o le regole del gioco. Per la maggior parte dei casi e per la maggior parte del tempo, lo subiscono.
Nel lontano 1200 Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologica, uno dei primi studi della storia sul mercato, parlava di prezzo come una questione morale.
Sintetizzando, il prezzo: non doveva portare a un profitto eccessivo e ingiustificato, segno di avarizia; non doveva essere determinato in maniera fraudolenta; l'acquirente doveva essere libero e non condizionato da alcun elemento nell’accettare (il prezzo).
In questo discorso così lontano dai giorni nostri, la questione riguardava principalmente contrattazioni abbastanza semplici. Tipo: non vendermi un aratro rotto, a un prezzo esorbitante, a un prezzo esorbitante se sai che devo accettare per forza…
Il prezzo però è un concetto molto più ampio e complesso. Riguarda tutto ciò che scegliamo di fare. Mangiare un hamburger invece di un’insalata, ha un prezzo in termini di salute e aspettative di vita. Di contro, mangiare un’insalata invece di un hamburger per molti potrebbe presentare un prezzo in termini di piacere o tempo di preparazione. Ma anche per chi vuole fare conti più elaborati, il prezzo che impongo a chi verrà dopo di me, ecc.
Quando una persona si vende sul mercato tendiamo a pensare semplicisticamente “faccia il prezzo” ma in realtà è più onesto guardare in che misura lo subisce e qual è il prezzo che paga.
Se ho fame e mi offri di ballare e cantare in cambio di un pasto non sto “accettando” un prezzo. Lo sto subendo. E sto pagando in termini morali: vergogna, pudore, il solo fatto di essere obbligato (non libero) a fare qualcosa che mi è stato “ordinato”.
Il fatto infine di non essere soli in questa situazione ma in compagnia di tantissime persone assetate e affamate non porta ovviamente al “mezzo gaudio”. Solo interamente triste. E sempre più immorale.
Di gente affamata e gente che balla
Non so quanto la scena del bar e del tizio misterioso possa essere azzeccata. So solo che ce l’ho in testa da tanto tempo e ogni giorno che passa mi sembra di essere tutti avventori sfigati di questo fottuto bar.
L’altra sera, alla cassa di un pub, in fila per pagare, con accanto due donne sulla sessantina con indosso lo zainetto di una delle tante compagnie di delivery. Per inciso, ma davvero la vogliamo chiamare innovazione sta roba?
Ogni giorno, scorrendo veloce (e giuro sono sempre più veloce) il feed di questo o quel social. Gente che canta, che balla, che canta su un piede, che finge di non averlo pur di farsi sentire. Farsi pagare da bere, da mangiare, le bollette.
Poi, proprio accanto alla signora che alle 23 va in giro a consegnare panini, trovi discorsi esoterici su perché le persone non abbiano voglia di lavorare e siano (inspiegabilmente?) così incazzate.
Yolo, Great Resignation, adesso Quiet Quitting.
Termini sofisticati, “inglesi” e affascinanti per quel che ci riguarda, con i quali si raccontano statistiche, teorie e tante balle.
La verità è che dai dinosauri ad oggi ci siamo persi qualcosa: l’aspetto umano.
Ciò è ancora più vero e inquietante andando a vedere le persone che “mollano” il lavoro, che se ne stanno alla larga o che semplicemente si limitano a svolgere un compitino. È gente che lavora con la testa e alle quali a fine giornata non farà magari male la schiena come chi lavora nei campi ma fa male il cuore.
Drucker lo aveva detto con la solita lucidità e senza mezzi termini. Occhio perché questi lavoratori, “della conoscenza”, sono gente diversa da quella che conosciamo. Non fanno il lavoro, sono il lavoro.
Ne consegue che fare un lavoro di merda è un conto, essere un lavoro di merda, beh…
La complicazione di questi giorni è che ormai dentro un sistema social siamo tutti lavoratori della conoscenza. Anche involontariamente, inconsciamente, non facciamo il lavoro, siamo il lavoro.
Tornando a Drucker, in un pezzo uscito nel 1992 disse anche qualcos’altro. Disse che queste persone, i lavoratori della conoscenza, dovevano essere trattati al pari dei “volontari”.
Non potevi aspettarti di conquistarli (solo) con i soldi. Si sarebbero impegnati solo nella misura in cui credevano nel tuo scopo.
E se invece si impegnano ugualmente, verrebbe da aggiungere oggi, o si impegnano poco (eccolo il Quiet Quitting) o c’è ovviamente qualcosa di immorale nel prezzo.
Fuori dal bar
Adesso torniamo a questi giorni, fuori da quel bar e dentro questo casino che è il pianeta terra a ottobre del 2022.
Siamo affamati, assetati, e crediamo poco allo scopo che spunta fuori da manifesti colorati e dichiarazioni di facciata.
C’è una sola sfida per la quale vale la pena lottare: ritrovare il nostro senso, individuale e collettivo, di umanità.
Una sfida che ovviamente è legata a doppio filo a un’altra della quale ogni giorno si parla ma si agisce poco: quella ambientale.
Ma il vero cambiamento potrà avvenire solo quando smetteremo di pensare “oddio ci stiamo perdendo la terra”, intesa come casa o come una camera d’albergo, e ragioneremo in termini di “ci stiamo perdendo noi”.
Su questo tema, casini e disastri, ambientali e sociali, qualche giorno fa Otto Scharmer ha pubblicato una bellissima analisi. In “Protecting of flame”, Scharmer osserva come ci troviamo, di nuovo, a un punto nel quale come società abbiamo le stesse probabilità di collassare o rifiorire.
Ci siamo già passati, dice.
Vi sono infatti gli elementi ricorrenti che caratterizzano il collasso (o potenziale collasso) di una società: fatti concreti (degrado sociale ed ecologico), campi di Conversazione Collettivi (un crollo della capacità di dare un senso e di rispondere alla situazione, Spirito Umano (un aumento vertiginoso dei problemi di salute mentale).
Più che emergenza ambiente, clima, è un’emergenza planetaria. Umana.
Possiamo uscirne solo custodendo la fiamma. Mantenendola accesa.
Ripensando non tanto o solo le nostre azioni come genere umano sulla terra (intesa come impatto ambientale) ma ripensando il modo, le logiche, gli assunti con i quali vogliamo regolare la nostra vita da esseri UMANI su questa terra.
Custodiamo la fiamma. E fanculo al misterioso tizio del bar.
p.s Sul ripensare le logiche che ci hanno portato sin qui ed è chiaro quanto siano risultate fallimentari, è incentrato il mio nuovo libro scritto con Nicola Cerantola, Matteo Fusco e Michela Spagnolo. Puoi già prenotare la tua copia o raggiungermi a Roma il 22 Ottobre per la presentazione.
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